“La cosa che mi piace più di tutte è vedere le case, vedere i quartieri”. Come Nanni Moretti nel film “Caro diario”, anch’io ho sempre amato le case e mi piace immaginare la vita delle persone che le abitano. In 40 anni di professionismo ho sempre guardato le case in tutte le città che ho visitato e mi sono chiesto spesso se certe aberrazioni edilizie, nate in anni di edificazione selvaggia consentita da politiche discutibili, potessero essere demolite e magari ricostruite con altri criteri. Le città e le case si possono ri-usare? Negli ultimi sessant’anni l’urbanistica è stata troppo occupata a progettare città che consumano il suolo, che disperdono le risorse naturali, che incrementano la diversità e le diseguaglianze invece che sviluppare strategie che creino poli di aggregazione nel rispetto della natura, della cultura e della bellezza. La città intesa come luogo di valorizzazione della nostra vita inserita in una comunità, ha invocato in questi anni un cambiamento di paradigma in grado di creare strumenti nuovi per cambiare il nostro habitat. È nato il bisogno di definire una visione alternativa, che possa migliorare la qualità della vita individuale, favorendo la partecipazione della collettività a un nuovo modo di vivere.

È con questa prospettiva che la Regione Emilia-Romagna ha messo a disposizione le sue risorse e ha coinvolto tutte le parti sociali per far nascere la Nuova Legge Urbanistica Regionale (n. 24/2017 “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”) che contiene i principi di un vera rivoluzione per tutta l’Italia, accogliendo quanto disposto dal settimo Programma di azione ambientale dell’Unione Europea, che introduce il principio del consumo di suolo a saldo zero, fissato per il 2050. Un dato? In due anni 37 chilometri quadrati di aree edificabili previsti in regione non sono stati realizzati.

Fino al 2050 la Regione Emilia-Romagna stabilisce che il consumo di suolo dovrà essere contenuto entro il 3% del territorio urbanizzato, escludendo interventi strategici quali ampliamenti delle attività produttive esistenti, opere pubbliche, insediamenti produttivi di rilievo regionale, nuovi insediamenti residenziali collegati a interventi di rigenerazione urbana in territori già urbanizzati o di edilizia sociale.

Il tema del “riuso e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente” è il cuore della legge regionale, la sua vera novità ed è una sfida lanciata a tutti i professionisti del settore. La tipologia delle aree potenzialmente interessate da interventi di rigenerazione è varia e l’elemento che le accomuna è spesso costituito da una situazione di degrado cui occorre porre rimedio non solo per ragioni estetiche, ma con lo sguardo alle politiche sociali e di aggregazione della comunità.

Il risanamento urbanistico cui si ispirano le attività di rigenerazione apre perciò uno scenario nuovo e stimolante per i professionisti. La parola d’ordine non è più il consumo del territorio, ma diventa progettare la bellezza e l’integrazione, ambientale, architettonica, sociale, culturale. Qualche esempio?

Fra i molti progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana premiati dalla Regione, segnalo quello del Comune di Bologna sul “Parco della Resilienza”. Il progetto di rigenerazione interviene su uno storico comparto di Edilizia Residenziale Pubblica di Bologna, realizzato nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento. Il comparto è costituito da edifici residenziali, realizzati dal programma nazionale per l’edificazione di case “popolarissime” e gestito all’epoca dall’IFACP. Questo pezzo di territorio cittadino è a nordest delle ex mura rinascimentali che collegano Porta San Felice a Porta Lame, e nel progetto si interviene disegnando un “quadrilatero” racchiuso dalle vie Malvasia, dello Scalo, Pier de Crescenzie Casarini. L’elemento storico, che rende a mio avviso affascinante l’area, consiste nel fatto che questi fabbricati popolari erano nati con l’idea di creare “condizioni di ruralità” all’interno della città, dotandoli di spazi aperti utilizzati per “trovare il modo di soddisfare l’aspirazione individuale di partecipare alla coltivazione di una seppur piccola porzione di terreno, e di alimentare un processo produttivo naturale della più grande importanza” (cit. da “Il Comune di Bologna”, n. 5, Maggio 1937).

Il progetto di rigenerazione ha l’obiettivo, dopo 80 anni, di ricucire il tessuto sociale nel frattempo degradato, utilizzando la storia di questa area e dei suoi spazi esterni anticamente utilizzati per gli orti, trasformandoli in un giardino pubblico “resiliente” e ridefinendo così l’intero comparto come zona di aggregazione sociale in prossimità del centro storico.

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